lunedì 1 agosto 2016

Marmellata di Cipolle

Un nuovo progetto, una nuova avventura. 


Lacrime e Dolcezza, un po' come questa nostra terra di Calabria divisa da sempre tra gioie e dolori. Un posto che a volte ti fa scappare, altre tornare.

Da oggi mi trovate qui.



 Potete partecipare ai miei eventi di Social Eating, leggere un mio racconto o preparare una nuova ricetta.
Per ridere e piangere, condividere e sognare insieme a me.

Benvenuti e a Presto

Marialuisa




venerdì 3 giugno 2016

La Cantastorie di Calabria





La prima volta che incontrai Francesca Prestia  fu ad una cena musicale organizzata da Angela Crudo e dalla sua Accademia Musikè, a Vibo Valentia.
Sulla spalla, delicato come un Sari, indossava il Vancale Calabrese, indumento prezioso e raffinato che, in varie tonalità, accompagna sempre la nostra cantastorie nelle sue esibizioni; in mano la chitarrina battente e, una voce roca, che quasi sembra tradire un raffreddore appena passato.
Bella e sorridente, nel suo modo di parlare chiaro e coinvolgente, ci racconta subito un aneddoto, sfatando uno dei tanti stereotipi attribuiti ai calabresi: “quando vado in giro per l’Italia con le mie storie, tutti si aspettano di trovare una donna scura, non proprio alta, né tanto bella e, certamente dalla corporatura generosa. (“composta” avrebbe detto mia nonna che non amava sentirsi dire di essere robusta o generosa).
Francesca Prestia infatti non è nulla di tutto ciò. E' una donna elegante, di bella presenza, ma diciamo pure bella e basta, bionda e, decisamente non “composta”. 
Al momento di cantare, la raucedine sparisce e, ogni parola, ogni nota della sua chitarrina ti lascia impressa un’emozione.
Sapevo già che un giorno avrei scritto di lei e già quella volta presi i miei veloci e disordinati appunti. Ora eccomi a cercarli tra le tante note del mio iPhone. Oggi come allora a rivivere gli stessi pensieri e le stesse emozioni. 

Francesca Prestia canta la Calabria che nemmeno i calabresi conoscono, figuriamoci chi calabrese non lo è. Frantuma gli stereotipi e racconta le verità che mai nessuno ha voluto davvero ascoltare. 
“La storia andrebbe riscritta", dice Francesca, "e ce ne sarebbero di cose da cambiare”. Ma, senza recriminare: lei con la sua arte costruisce e non smonta nulla, se non le conoscenze. 
La Prestia è una che studia, che rispolvera lingue sepolte, che scava nella memoria di chi ancora ricorda. La storia dell’Italia è partita dalla Calabria, certo. E certamente i calabresi hanno dato il loro sangue per una terra che sempre più spesso li rilega ai margini. Eppure, di autori che hanno cantato la Calabria ce ne sono tanti. Penso solo ad alcuni, Corrado Alvaro, Saverio Strati, Mario La Cava; penso al cinema, alla musica. Quanto ha avuto la musica dalla nostra terra? Mia Martini la sento vicina in questo mio racconto, perché in qualche modo mi fa pensare a Francesca.
Attori, scrittori, uomini di successo e di coraggio, che spesso, per necessità, sono dovuti andare via. Ma, come diceva Pavese... “Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti". Sono certa che ogni calabrese sa, cosa voleva intendere il grande Pavese. Ma tra i tanti che vanno via, c’è chi sceglie faticosamente di restare; chi sceglie il nuovo partendo dal vecchio, chi guarda avanti e si muove, tornando sempre dove tutto è partito. Come fa la cantastorie di Calabria. 
Ovunque ci sono problemi. Ovunque c’è qualcosa che andrebbe meglio se solo si…
Ma diciamoci la verità: è ora di smetterla con questo continuo compatimento! Questa cosa di guardare il bicchiere sempre mezzo vuoto. Questo buttarsi indietro per paura di andare avanti.  Oggi siamo cittadini del mondo. E in questo mondo prima di tutto siamo europei, poi italiani e poi, calabresi. Bisogna iniziare a farci l’abitudine, a ragionarci sopra in modo costruttivo. Ognuno di noi fa parte di questa grande e variopinta popolazione universale, ed è una cosa meravigliosa esserci, ognuno di noi con il proprio contributo.
Il vero pensiero allora è: se solo io… facessi, fossi, iniziassi, provassi, costruissi, inventassi. 
Ma torniamo a Francesca Prestia e alle sue storie cantate, altrimenti so già che mi perderei troppo in fronzoli.
All’Accademia Musiké ha cantato diverse ballate non incluse in questo straordinario cd, ma mi auguro che entreranno a far presto parte di un altro.
Ricordo con gioia la rivisitazione della celebre opera di Ruggero Leoncavallo, “Pagliacci” che viene cantata e cuntuta dalla cantastorie con le parole del dialetto di Montalto Uffugo. Leoncavallo si ispirò ad un fatto accaduto realmente nel paese cosentino, un episodio cruento che dovette rimanere particolarmente impresso nella giovane mente del compositore. La Storia di Nedda cantata dalla Prestia, lascia dentro una sensazione di affanno e felicità insieme. Come quando la tristezza della fine si mescola alla magnificenza del risultato. Chi conosce l’opera, soprattutto nella versione in cui il grande Pavarotti interpreta Canio, il pagliaccio tradito dalla moglie Nedda, sa di cosa parlo.
Ispirandosi al Racconto di Corrado Alvaro "Il ritratto di Melusina" la cantastorie di calabria compone una tarantella, dal titolo "Comu L’ortica e u Boccaleona. Racconta la storia di Melusina, una giovane che vive ormai quasi sola, in un paesino di montagna, tutti ormai sono andati via, emigrati in cerca di un futuro migliore. Melusina viene ritratta controvoglia da un pittore di passaggio, che vedendola rimane profondamente colpito dalla sua bellezza. In un tempo in cui per le donne era sconveniente mostrarsi persino in foto: “ccu l’occhi chiusi, i mani accoppati, stacisti ferma e iddhu guardava”. Con occhi chiusi, e mani nascoste, sei rimasta ferma mentre lui guardava. 
I testi che arricchiscono il cd sono davvero preziosi, in alcuni casi come per le ballate in grecanico sono davvero fondamentali.

Il grecanico è la lingua che più di tutte alimenta il nostro backgrund culturale, è la lingua della Calabria greca, ciò che rimane di vivo del nostro essere stati greci.
I AGÀPI PIRÌA TU THIÚ tratta dal "Cantico dei cantici" di Re Solomone, curata da Salvino Nucera, è la canzone che più ha scosso le corde del mio cuore. Perché in fondo siamo tutti un po’ romantici, ma forse io lo sono un po’ troppo.

Francesca ha cantato questa canzone con Roberto Vecchioni, la prima volta che ne ho sentito un breve estratto sulla sua pagina Facebook ho sentito che dovevo assolutamente trovarla da qualche parte, non sapevo ancora che quel momento sarebbe arrivato proprio qui, a Lamezia, alla Libreria Tavella, dove ero già stata qualche anno fa per incontrare Silvia Avallone, e Dacia Maraini.
Roberto Vecchioni che canta in grecanico con Francesca Prestia, lei che racconta del come è avvenuto l’incontro e la gioia la vedi ancora, perché si intuisce dalle sue parole. Canta di nuovo per noi che siamo venuti a sentirla, e sullo sfondo insieme alle parole e agli accordi scorrono le immagini che nell’arte hanno celebrato l’amore: amore e psiche del Canova , Apollo e Dafne del Bernini, Klimt e il suo celebre bacio.  Ad un certo punto Vecchioni si mette a ballare intorno a Francesca. Aveva visto L’amore, ci racconterà lei dopo, con gli occhi scintillanti. Perché per cantarlo, l'amore, bisogna soprattutto sentirlo.

La Calabria è stata una regione aperta e Multietnica molto prima che lo fosse l’Italia intera. Penso agli Arabi della cui lingua e cultura conserviamo molto nella nostra quotidianità.
Alle comunità albanesi dell’alto cosentino, gli Arbëreshë. Francesca Prestia ha promesso che presto la sentiremo cantare in questa lingua. E poi vuole studiare anche lo Yiddish. Ve l’ho detto che è una che studia sodo.

Ma la nostra Cantastorie non canta solo il passato. Il femminicidio è un tema che le sta molto a cuore ne parla già nella storia di Leoncavallo e torna nel presente con la Ballata di Lea, dedicata a Lea Garofalo e a sua figlia Denise.
Il bello di questi incontri arriva quando lei inizia a raccontare i retroscena, da dove arrivano e come nascono le sue storie, sono anche e soprattutto questi piccoli segreti rivelati, che rendono ciò che fa ancora più affascinante. No smetteresti mai di ascoltarla raccontare. La nascita della ballata di Lea, è dovuta alla lettura di un piccolo trafiletto sul giornale: “Sognava l’Australia”. Dal giornale dunque apprende la storia di Lea Garofalo, della sua lotta contro la famiglia mafiosa e, della sua terribile fine. Immediata è la necessità di scrivere. La storia di Lea entra a far parte di un progetto del Miur che la Prestia porta in giro nelle scuole italiane, affinché tutti, soprattutto i più giovani possano alimentare con il proprio contributo la cultura dell’antimafia. Con La ballata di Lea la cantastorie capisce che il suo contributo può andare oltre la trasmissione del passato, anche il presente, può e deve essere raccontato.
Non solo Lea Garofalo dunque. Partendo dalla lettera della collaboratrice di giustizia, Giuseppina Pesce, alla figlia Angela, la cantastorie scrive e dedica a questa donna coraggiosa una ninna ninna tradizionale calabrese, dal tono struggente, parole che solo una madre che per i figli darebbe l’anima può intendere.
Il presente torna ancora nella ballata Mare Nostrum, canzone che da il titolo anche al disco. Ancora una volta uno dei grandi problemi del nostro secolo. Forse è proprio qui in Calabria, che più di ogni altra regione, noi ci sentiamo Mondo. Chi approda sulle nostre coste come Nijat, la protagonista della canzone, questo lo sa. Noi ancora non lo abbiamo capito. Per Nijat e per molti come lei, noi siamo il mondo, la salvezza, la speranza. Noi che ci lamentiamo di tutto e che abbiamo tutto, noi che siamo il loro Tutto e che diciamo di non avere mai niente.
Mare Nostrum nasce dall’incontro di Francesca Prestia con questa giovane donna Etiope. Nijat, racconta la difficile storia della sua fuga. Francesca le chiede come abbia potuto resistere a tutto ciò che ha vissuto. E Nijat risponde con una frase semplice, sussurratale dalla madre al momento dei saluti, gli stessi che in gola lasciano l’amaro degli addii: Ezi win yihalif! Ezi win krwiew yu! Tutto passa! Tutto Passerà!
In fondo è sempre così. Tutto passa. Anche per chi è meno fortunato di Nijat, anche in questo Mare Nostrum, tiepido e caldo, che sempre più spesso si macchia di atroci sofferenze. Tutto passerà, forse, chissà.
È difficile continuare, soprattutto se mentre scrivi la mente ti propone le immagini delle carrette degli ultimi giorni. Ti sembra quasi di vederla Nijat in mezzo alla sua gente; ti sembra di poter dare una immagine ad ognuna delle parole che compongono il testo di Mare Nostrum. Ed è difficile, davvero, continuare.

Saranno passati tre anni dal nostro primo incontro. Di strada in questi anni la nostra cantastorie ne ha fatta tanta. L’ho sempre seguita sulla sua pagina Facebook e ho sempre gioito dei suoi piccoli successi. 
Ci siamo incontrate dal vivo altre volte e ogni qualvolta so di una sua esibizione in zona non perdo mai l’occasione di andare ad incontrala. 
Il 16 Maggio alla libreria Tavella a Lamezia Terme la gioia è stata ancora più grande perché ho avuto il piacere di portare a casa con me il suo primo Cd. 
Oggi canto anch’io in una lingua che non conosco. Eppure sembra cosi semplice. Come se esistesse già dentro di me.
Pòsson Isson Pìszilo, fìlimu, pòsson pìszilo!
La musica riecheggia per la casa. Dalla finestra aperta prende il volo, sembra di vivere sospesi a mezz’aria, in un tempo che ora non c’è più.
Ed è affascinante. È una musica che ti alza la pelle, una voce che ti vibra dentro, scivola dietro la nuca, dove tutto ha origine e fine.
Pòsson isson pìszilo,
fìlimu, posson pìszilo!
Pòsson isson pìszilo,
Agapimmènomu, posson isson calò!
Alìthia, glicìa, plenglicìa
Tu crasìu ene ta chilisu.
Sìremu apìssusu, trèchome!
 Siremu apìssusu, trèchome!


giovedì 5 maggio 2016




Ecco un'altra meraviglia che in Calabria si trova un po' ovunque. 
In questo periodo le siepi di campagna sono tutto un tripudio di fiori e di odori. 
Il fiore del Sambuco con la sua forma ad ombrello sembra il re di questa primavera. 
E' un fiore molto delicato, e poco duraturo. Il momento giusto per coglierlo è quando i petali sono quasi o tutti schiusi. Bisogna essere molto rapidi, perché una volta fioriti cadono subito.


I fusti della pianta si usano per fare utensili contadini, perché leggeri ma robusti.   
Anche il maghetto Harry Potter aveva una bacchetta dai poteri straordinari, fatta con legno di sambuco. La più potente e pericolosa delle bacchette tanto che lo stesso maghetto alla fine preferisce riparare la sua e disfarsene per evitare altri danni. 
In sicilia con i fiori ci fanno anche il pane, vastedda cu sammucu e dalle bacche si estrae una marmellata che, a detta di alcuni, sembra buonissima. Credo che la proverò appena possibile. 
Ma bisogna sapere che le bacche non cotte e le foglie sono anche velenose, pare contengano cianuro, come molte altre piante selvatiche. Il fascino della vita campestre, la bellezza e il pericolo che sempre attraggono.
Il profumo di questi fiori è talmente lieve che nell'aria quasi non si avverte, se non si è abituati a riconoscerlo. 
Mio marito li ha assaggiati sotto forma di frittelle, preparati da una amica messicana, da allora ogni anno quando vediamo sbocciare questa meraviglia, tentiamo di cimentarci nella preparazione di queste famose frittelle, ma ripeto non sempre ci si riesce, e spesso siamo arrivati tardi. 


Quest'anno li abbiamo tenuti d'occhio e alla fine ecco qui il risultato. 
Il vero aroma del sambuco si sprigiona solo in bocca. 
La croccantezza della pastella, e la presentazione sono nulla in confronto a ciò che rimane del gusto di questo fiore che tutti osserviamo  senza un vero interesse. 
Per me una super scoperta. 
Non appena il fiore darà vita alle bacche proverò anche la Marmellata.



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domenica 27 dicembre 2015

Una Gita a Bellagio

A Bellagio, nella Torre che ospita il museo dei giochi antichi, c'era una volta una bambina che giocava con una #BambolaNera




martedì 8 dicembre 2015

UNA BAMBOLA NERA PER NATALE

Ai miei tempi, che non sono poi tanto lontani, al mio paese non c’era la tradizione di Babbo Natale, o meglio, se c’era, non era come il Babbo Natale di oggi, che va a trovare i bambini in tutte le case, nonni, bisnonni e zii compresi. Era un vecchietto un poco distratto, di quelli allegri e sorridenti ma con la testa sempre tra le nuvole, sicuramente andava oltre il là con gli anni; il pancione ben in vista e il naso sempre rosso per il freddo e forse, detto tra noi, per qualche goccetto di troppo, che all'allegria fa sempre bene. La sua memoria era ballerina, dondolava come le altalene dell’Estonia nel fantastico padiglione di Expo 2015, e di bambini ne ricordava pochi, a malapena.
Ma non era un problema molto grave perché per i bambini dei miei tempi, a scuola arrivava la Befana. Spesso era l’ultimo giorno di scuola, prima delle vacanze di Natale e lei, di bambini non ne dimenticava nemmeno uno. Da brava signora organizzata e puntigliosa usava gli elenchi del comune e quelli erano sempre molto precisi. Ma la cosa strana è che non si trattava di una vera e propria Befana, cioè mica era vestita da streghetta, tutta rugosa e a cavallo di una scopa. No, era tutt’altra cosa. Spesso, dati i suoi molti impegni, non era nemmeno lei a venire, ma delegava qualcun altro. A volte si faceva aiutare dal sindaco in persona, altre volte faceva recapitare un biglietto da persone a noi conosciute, che non arrivavano dal Polo Nord ma vivevano molto più vicino a noi, alcuni nelle nostre stesse case. Il biglietto era prezioso, conteneva un codice o una lettera dell’alfabeto a cui sempre corrispondeva un regalo. Sempre!
Può sembrare un po’ buffo, lo so. Mi si dirà: ma allora perché si chiamava Befana? Si chiamava così e basta! Non lo so il perché, e sinceramente prima d’ora non me lo sono mai chiesta, né mi sono mai preoccupata del suo strano aspetto e del suo arrivo anticipato.
I suoi doni raramente deludevano. Per le bambine c’era spesso una bambola, e per i bambini una macchinina telecomandata, ma anche giochi di società, sapientino e mattoncini colorati.
Io ho ricevuto sempre bambole. Ma per intenderci, si trattava comunque di bambole speciali, diverse una dall’altra.
Un anno, non ricordo se in terza elementare, la Befana mi fece recapitare un biglietto colorato di rosa con impresso un codice un po’ strano: portò in regalo una bambola speciale. Anche se "speciale" non fu esattamente il mio primo pensiero di allora. 
Era una Bambola Nera. Nera dico bene, cioè scura, color cioccolata al latte, nemmeno fondente come piace a me. E io non avevo mai visto una bambola così prima di allora. Anzi, forse non avevo mai visto nessuno di quel colore.

In classe, tra compagni si facevano sempre i sondaggi di soddisfazione sul regalo ricevuto. Ora, come spesso accade in questi casi, soprattutto tra bambini, quello degli altri è sempre più brutto o più bello, ma mai uguale al nostro.
Solo una volta a casa, al riparo da occhi pettegoli, quel regalo diventava speciale, come i ricordi migliori a cui diamo valore solo con il passare del tempo. Come ho già detto, Babbo Natale era un po’ distratto e non riusciva a raggiungere tutti in un'unica notte. Per molti di noi, quindi, quello della scuola era l’unico regalo!
Più importante di Babbo Natale era per noi il caro e vecchio San Nicola, che durante la notte tra il 5 e il 6 dicembre si intrufolava con il suo sacco carico di nocciole nelle case di tutti i bambini del paese, sul metodo esistono diverse versioni, ma certamente danni a porte e finestre non ne faceva mai. Lasciava i doni in una scarpa consumata che noi piccoli già da giorni sistemavamo dietro l’uscio di casa, e prima di andare a dormire, quella notte… ragazzi che emozione, il cuore andava a mille per l’attesa. E non credo fosse tanto per i doni, era la magia di quella notte, a renderci felici. San Nicola non portava giocattoli, lui portava le nocciole. Che pure diventavano un gioco, a cui noi bambini eravamo molto affezionati, il gioco dei castellucci. Si costruivano tante piccole torrette con le nocciole e poi a turno con una stessa nocciola si tirava nella loro direzione cercando di abbattere il castelluccio dell’avversario, chi riusciva nell’impresa aggiungeva le nocciole dell’altro al suo gruzzolo, aumentando così la sua ricchezza, e si giocava finché l’avversario non rimaneva senza nocciole, il che voleva dire anche intere giornate di battaglie.
Dentro la scarpa a volte spuntava anche un cioccolatino, un torroncino o una susumella e, solo di rado, una banconota da mille lire, massimo cinque se si era davvero fortunati. Poi, succedeva anche che i genitori venivano a chiedertela come anticipo sulle spesucce di casa non appena se ne presentava il bisogno. Perché quando si era a corto, in casa mia, si veniva a chiedere a noi figli se avessimo messo da parte qualcosina. E noi eravamo ben felici di far vedere il nostro malloppo, perché, avevamo sempre qualcosina. La promessa naturalmente era la restituzione del prestito non appena possibile, il che poteva essere subito oppure poteva scivolare via e perdersi con il tempo. Ma, non ci importava molto, perché in quel momento, solo in quel momento, noi eravamo considerati grandi e quel piccolo contributo alla gestione familiare ci faceva sentire indispensabili. Una volta era piuttosto facile trarre in inganno i bambini…provateci ora a fare una cosa del genere?
Al ricordo di quella notte ancora mi emoziono, ma ancora di più mi emozionano gli occhi felici dei miei figli, quando quella mattina si svegliano all’alba per controllare le scarpe lasciate dietro la porta per l’arrivo di San Nicola, che naturalmente sono piene di nocciole, ma come vuole la tradizione dello scorrere del tempo, non solo di quelle. Mi rattrista sapere che presto la loro gioia si attenuerà, ma in un angolino della loro anima spero conserveranno sempre l’emozione di questa notte magica. Ahimè, purtroppo nelle fasi della vita alle favole è destinato uno spazio troppo breve, e per quanto io mi sforzi di farle durare il più possibile, so che presto dovrò lasciarle andare. 

Come dicevo prima di perdere il filo, per la prima volta, perché so già che succederà di nuovo, quel Natale la mia Befana portò una bambola in dono, una Bambola Nera. Naturalmente i sondaggi dei compagni decretarono che il mio era il regalo più brutto di tutti. In quei momenti in classe, non mi rimase che ingoiare uno dietro l’altro i magoni che stringevano la gola e fingere totale indifferenza. Buttai la bambola nello zaino e sperai di tornare a casa il più presto possibile, solo in solitudine avrei potuto riflettere sulla cosa e versare tutte le lacrime che mi salivano dalla pancia. Forse ero stata molto cattiva. In effetti, buona buona non lo ero stata, anche San Nicola, insieme alle nocciole aveva lasciato un carboncino. Certamente lui e la Befana si erano messi d’accordo per darmi una punizione esemplare. Dopo aver giurato a me stessa di essere migliore, presi la bambola dallo zaino e la osservai con attenzione, e che sorpresa… non sembrava più così brutta. Le palpebre si aprivano e si chiudevano da sole non appena le sfioravo con le dita, e già quella era una magia. I suoi occhi erano neri, tristi e lucidi, come bagnati da lacrime trattenute. Di quella tristezza, che era in quel momento anche la mia, mi innamorai all’istante.
Malgrado il suo strano colore, scoprì che quella bambola a me piaceva, e pure tanto. La mia mamma, anche lei si stupì un poco, ma mi propose subito di cucirle un nuovo vestito. E così, presa da nuovo entusiasmo iniziai i lavori per il rinnovo del suo misero guardaroba. Trascorsero tra aghi, fili e stoffe colorate i giorni spensierati delle vacanze natalizie, sempre in compagnia della mia nuova amica, cui presto imparai a voler bene in modo assoluto. Anche se negli anni ne arrivarono di altre, lei rimase sempre nel cesto dei giochi, maestosa, pulita e composta nei suoi colorati abiti nuovi.
La portavo con me ovunque, in braccio o in una carrozzina di legno che mio padre costruì appositamente per lei. Forse è stata una delle poche volte che ho giocato davvero con una bambola e che non mi sono limitata a distruggerla come facevo con le altre, persino le macchinine, che invece toccavano in sorte a mio fratello, si erano salvate con l’arrivo della mia Bambola Nera. 
Ma nonostante l’affetto che provavo, non le diedi mai un nome.
In verità non sono mai stata brava a scegliere i nomi. Nominare le cose le rende conosciute e quindi meno misteriose, poi le rende tue per sempre e io con i per sempre ho davvero un po’ di problemi. In più, tutti i possibili nomi mi suonavano strani, come non adatti a lei. Ero una bambina di sette anni, non conoscevo ancora la musicalità delle lingue del mondo, la loro originalità, la fantasia, né tantomeno conoscevo le sfumature dei colori delle genti. Ciò che la mia ragione di bambina non capiva, o meglio non accettava, non era il suo colore, o il fatto di non riuscire a darle un nome, ma il suo aspetto, in particolar modo i suoi capelli e il suo vestito: perché dovevano essere così brutti?
Perché, vi dirò, erano davvero brutti, il vestito era quasi uno straccio, a quadretti bianco e blu come le tovaglie di quelle osterie impantanate in un tempo che non tornerà più, povere anche del più minimo desiderio avveniristico.
Le altre bambole, quelle “bionde” intendo, erano sempre ben vestite, abiti da principessa, con veli di tulle ricamati e pomposi, capelli lunghi e biondi, belli da pettinare, da lavare, da acconciare con spazzole dalle setole morbidissime.
La mia invece, aveva capelli corti e neri, ricci o meglio crespi, impossibili da pettinare o da acconciare. Erano attaccati alla testa in un modo alquanto disordinato. E anche se il viso era bellissimo, la fronte larga e spaziosa, gli occhi neri, grandi e scintillanti, che si chiudevano, per davvero! i capelli continuavano a rimanere un vero disastro.
Per il vestito come ho detto, io e la mamma avevamo rimediato subito. Mi ritenevo una sarta piuttosto ingamba. Ritagliata la stoffa, misurata ad occhio sulla bambola, ne uscì un abitino se non perfetto ben composto. Rosso come le sue labbra, che con i miei pennarelli avevo reso ancora più brillanti, smanicato, perché più facile da realizzare e, molto, molto lungo. Aveva bisogno anche della biancheria, perché la mia mamma diceva che la schiena e il culetto vanno sempre coperti. Le mutandine erano quelle che mi riuscivano meglio, le camice un po’ meno, ma sempre meglio puliti e mal vestiti che sporchi e nudi. Realizzai diversi outfit, così da poterla cambiare spesso, come la più bella delle principesse.
Ma quei capelli… come le cose incomplete che stanno lì a darti il tormento, rimanevano la mia disperazione. Mi prudevano le mani dalla voglia di sistemarli. Scoprì che fasciati le stavano bene, così cucì molte fasce di colori diversi, abbinabili ai vestiti. Ma niente, non ero soddisfatta: io volevo pettinarli!
Decisi così di provarci. Ahimè, quel riccio si trasformò subito in una lana crespa e impossibile da vedere. Impossibile soprattutto da rimettere a posto, li avevo rovinati. Allora m’improvvisai anche parrucchiera. Io, che due ciocche insieme non le ho mai sapute mettere, feci un bel taglio che li avrebbe riportati corti. Ben presto persi il controllo delle forbici e la mia principessa nera rimase senza capelli.
Avevo una bambola nera, con vestiti favolosi, ma senza i tanto desiderati capelli, costretta ad uscire sempre con un fazzoletto sulla testa. Che a detta della mamma le stava benissimo. Ma io sapevo ciò che nascondeva e non ero per niente contenta di aver dato sfogo alle mie mani. Nonostante ciò non la abbandonai dopo averla sfigurata, non la smembrai delle sue preziose parti come avevo fatto con le altre. Forse ancora si trova in qualche scatolone in giro per casa, mia mamma ha la mania di conservare tutto. Ogni tanto la vediamo tirare fuori reperti archeologici che io e i miei fratelli avevamo sepolto in angoli di memoria resi impraticabili dal tempo: mia mamma, ha nascondigli sparsi ovunque in casa!
La bambola nera è l’unico regalo di quella strana Befana che ricordo ancora oggi. Questo per dire l’importanza che ha avuto per me. E forse, ma senza certezza assoluta, il suo arrivo nella mia vita ha determinato alcune delle scelte fatte negli anni della maturità, di certo dopo di lei il mondo altro è diventato meno estraneo. Ma solo Freud potrebbe dire se esiste una connessione tra lei e quello che dopo di lei c'è stato nel mio futuro.

Oggi non è più così. La Befana non arriva l’ultimo giorno di scuola, non ha più come aiutante il sindaco, non è più nemmeno un codice recapitato chissà come. Per diversi anni è stata sostituita da uno dei tanti aiutanti di Babbo Natale che, come l’originale, era vestito di rosso e indossava una vaporosa barba canuta.
Questa novità sconcertò non poco i bambini abituati da tempo a ricevere i regali dal Babbo vero, quello che arrivava la notte del venticinque, e che nel frattempo era diventato più prudente. Forse che ha iniziato a curare la memoria, perché oggi di bambini ne dimentica davvero pochi, anzi direi nessuno. Deve aver comprato un iPad su cui tiene un’agenda ben organizzata dai folletti, con tutti i fusi orari  del mondo. Non solo, riceve anche le lettere, meglio se e-mail, direttamente al Polo Nord riuscendo così a soddisfare ogni richiesta…beh quasi sempre, quando proprio non può cerca di avvicinarsi il più possibile.
Allora la domanda imbarazzante era sempre una: mamma, papà, ma qual è quello vero? Aiuto! Ho l’impressione che nel semplificare il mondo per renderlo alla portata di tutti, abbiamo complicato di un mondo la vita. E le Favole, le mie adorate Favole in questo mondo sembrano non trovare più spazio. Semplice è certamente bello, semplice è certamente meglio, semplice è certamente niente per noi genitori moderni. Il rapporto con i figli si è trasformato in un continuo arrancare su una strada che scorre veloce e che anche noi percorriamo per la prima volta. Si cerca di conservare loro un po’ di magia ma a che prezzo? Sembra non bastarci mai nulla. Eppure c’è cosi tanto intorno a noi! Alla fine ci si ritrova a proibire questo, vietare quello, rimediare a quell’altro, e in questo vortice di contraddizioni non ci rimane che rinegoziare i termini del più antico baratto: se fai, se vuoi, se studi, se mangi, se dormi: puoi avere, puoi fare, puoi andare…. Ho l’impressione che tutta questa nostra incoerenza non fa altro che travolgerli, renderli deboli e ingenui al cospetto di questo mondo che si finge semplice e raggiungibile, ma che in realtà è difficile e spietato.
Ma mi sono persa di nuovo, avevo avvisato che sarebbe successo. 

Tornando al Babbo Natale della scuola, un giorno anche questo aiutante smise di arrivare. L’Italia tutta comunicò ai cittadini di essere in dissesto. Il sindaco si trovò costretto ad inviare una e-mail al Polo Nord con la quale fece disdire tutti gli ordini da li agli anni avvenire. E non con poco dispiacere. Ai bambini di oggi tanto vale dire la verità. Sanno bene cosa sia la Crisi. Che se il loro babbo è a casa, mentre la mamma è a lavoro, è perché la crisi ha fatto chiudere la fabbrica del babbo e la mamma ha dovuto triplicare gli impegni. Ma che per questo è sempre stanca e arrabbiata non lo capiscono, non possono farlo, sono bambini, in fondo al cuore. E la mamma è sempre la mamma, l’unica persona al mondo che si odia con la stessa intensità con cui la si ama, ma della quale in nessuno dei due casi si riesce a fare a meno.
Il vero problema, siamo noi grandi, noi che sappiamo e non accettiamo. Che urliamo e inveiamo, che parliamo a sproposito, pretendiamo, colpevolizziamo, attacchiamo, come solo i grandi sanno fare. 
Ma è davvero meglio questo Babbo Natale di oggi moderno e organizzato con l’iPad o quello di ieri, che quando non riusciva, al mio paese mandava la Befana?

A me piace ricordare quel periodo con affetto, senza per questo entrare a far parte del club di “quelli delle rimembranze”. Non sono di quelle persone che iniziano a parlare a ritroso. Mi piace camminare e amo farlo con il sole in faccia, sempre in avanti. E poi il Babbo di oggi mi sta pure molto simpatico. Mi piace proprio tanto il suo pancione pieno di allegria. Quello che un po mi manca è la magia che c’era nell’aria la sera dell’arrivo di San Nicola o il giorno dell'arrivo della Befana a scuola. Mi mancano i tempi del regalo unico, anche se allora non l’avrei mai detto. Quella strana Befana, che portava le bambole nere dai vestiti brutti e dai capelli corti. E si,  ci si chiedeva il perché, ma infondo non importava, tanto si giocava lo stesso, mica si aveva paura. Ecco mi manca la favola. Quando anche una bambola nera vestita di stracci poteva indossare un bel vestito e diventare con la fantasia una principessa in cerca del suo principe…e magari anche lui nero e ricco e bellissimo e forse chissà, con tanta fortuna, futuro presidente degli Stati Uniti d’America.
Dopo tutto mi sa che le Favole esistono ancora è solo che amano confondersi con la realtà!
Buon Natale a Tutti

A Black Doll For Christmas


When I was young, which was not so long ago, in my little village, in southern Italy, there was no tradition of Santa Claus, or rather, if there was, it was not like the one of nowadays, who flies around the world and visits children in their homes, with grandparents, great-grandparents and uncles included.
Santa of my childhood was a very old man, very inattentive and confused, but he was always a happy man, with a smiling mouth, even if his head was always in the clouds. Certainly he never seemed to age. The big, prominent round belly, the nose always red because of the cold, and perhaps, said quietly amongst us, from a drop or two. His dancing memory was better than his ability, it swung better than the Estonia’s swings in the fantastic pavilion at Expo 2015.
This Old Santa hardly remembered any of the children from my little village. But that wasn’t a problem for the children, me included, because for all of us at school our special Christmas visitor, came as “The Befana”. (That is a witch but a good one. Usually she came on the 6th of January, and it is a tradition strictly connected with the epiphany).
Often it happened during the last day of school before Christmas holidays, and she, like a good lady, organized and meticulous, did not forget any of us. She used to check the lists of the city hall and those were always very precise.

But the strangest thing was that she was not a real “Befana”, or rather, she wasn’t dressed as a witch, all wrinkled and riding her broom, no, not at all! No, she was something else. Often, due to her many commitments, it was not even her that came, but she delegated that to someone else. Sometimes she was helped by the mayor himself. Other times she sent a ticket, with a code, delivered by people known to us children. They did not come from the North Pole, but they lived much closer to us, someone in our own homes. The ticket was very precious, because it contained a number or an alphabet letter, which was always associated  with a gift. Always!
It may seem a bit 'funny, I know. It will be said: “but so, why was she called Befana? I really don’t know why. Her name was just that! And frankly, heretofore, I have never asked myself why, nor have I ever worried about her strange guise, or her early coming.
Her gifts rarely saddened us. For us girls there was often a doll, and to the boys a remote controlled toy car, but also games such as sapientino, monopoly and coloured building blocks.  For myself, I always had dolls. But to be clear, they were always special dolls, every time different from each other. One year, I do not remember if it was in the third grade of elementary school, the “Befana” sent me a pink painted ticket, with a slightly strange code, that indicated a very special doll. Even if "special", it was not exactly my first thought .

It was a Black doll. Black I said. Well, I mean dark, milk chocolate colour, not the dark one that I better like. I had never seen a doll like her, before then. Honestly, maybe I had never seen anyone of that skin colour. In the classroom, between the classmates there were the satisfaction surveys on the gift received. Now, as it often happens in these cases, especially among children, the other dolls present, are always uglier or more beautiful, but never the same as ours.

Only once at home, away from the eyes of gossips, that gift became special, as best memories to which we give value only with the passing of the time. As I said, Santa was a bit distracted and could not reach all the world children in one night. For many of us then, that of the school was the only Christmas present! Most important for us Santa Claus was the old dearest Saint Nicholas. He came during the night between the 5th and 6th of December, and he sneaked into the houses of all the children of the village with his sack full of gifts, but, you know, they were not common gifts, as you could imagine, he brought us hazelnuts.
Of the way he did this entry, there are several versions, but certainly he didn’t damage doors or windows. He left gifts in old shoes that we placed behind the house doors several days before his arrival, and before going to sleep that night... guys how big was the emotion, the heart went wild with the excitement, for that waiting. And I really don’t think it was as much as the gifts, but more for the magic, for the enchantment of that night. It was this sensation that made us really happy. St.Nicholas did not bring us toys, he only gave us hazelnuts. But they also became a game, of which we were very fond: the game was named castellucci. We made many little towers with hazelnuts and then, in turn, with the same hazel we pulled toward the tower of the adversary, trying to break his castelluccio down.
Whoever succeeded in their throw, added their adversaries hazelnuts to his, increasing his hoard. We played in that ways until one of us was left without nuts, which meant whole days of battles.  Inside the shoes sometimes there was a chocolate, a nougat or a susumella (a traditional Calabrian chocolate and honey biscuits) and, rarely, a banknote, but only if we were really, really lucky. Then, it was no problem if, as often happened, your parents asked you for that money, in advance on spesucce, the household expenses, promising you to give it back as soon as they could. Because, when there was need in my home, parents often came to ask us casually, if we had saved up a little bit of money. And we were very happy to show them our loot, because we always had a little of something. The promise, of course was to repay the loan as soon as possible, which could be immediately or it could slip away and get lost with time. But, we did not care much because at that time, you know, and only at that time, we were considered as adults, and the small contribution made us feel really important to the family. Once it was quite easy to deceive children ... try to do it now, try to do now a thing like that?

Just thinking of the memory of that night made me feel excited, but most of all, what excited me, is the happiness of my two sons. Their  eyes sparkling on that particular morning, every 6th of December, when they wake up at dawn to check their shoes, left outside the door for the arrival of St. Nicholas which of course, still brings the gift of shoes, hopefully full of hazelnut, not only of that, but I am aware of the waning of tradition with the passing of the time.

It saddens me a bit, to know that soon their joy will disappear, but in a corner of their souls I hope they will always save the excitement of this magical night. Alas, unfortunately, in the stages of life, the time dedicated to fairy tales is too short, and even if I try to make them last as long as possible, I’m aware that soon I will have to let them go.

As I said, before losing the thread, for the first time, I already know it will happen again, for that Christmas my personal “Befana” brought me a doll as a gift, (I often use this expression, because in Italian it is a verse of a very common poetry, Portò una bambola in dono) a Black Doll. Of course the surveys of mates proclaim that my gift was the worst of all. In those moments, there was no other chance left than to swallow up, one after another the Magoni (the desire of crying along ones throat) clutching my throat and pretend indifference. I threw the doll into my school bag and I hoped to return home as soon as possible, for only on my own could I reflect on the question, and let all the tears stream down as they were rising from my belly. (??)
Trying to give myself some explanation: “Maybe I had been very bad.” In fact, I wasn’t as good as in other years, and St. Nicholas too, with the hazelnuts left also a charcoal. Certainly they both agreed to give me an exemplary punishment. After I swore to myself to be better in future, I took the doll from my school bag and watched her carefully, and what a great surprise... she did not seem so bad. Her eyelids opened and closed by themselves as soon as I gently touched them with my fingers, and it was just so magic. Her eyes were black, sad and shiny, as tears wanting to be held. Of that sadness, which was at that time also mine, I fell in love instantly.

Despite her strange colour, I realised that I loved that doll indeed.
My mother, she was a little surprised too, but she immediately suggested to me, to sew a new dress for her. And so, taken with new enthusiasm, I began to work for the renewal of her poor wardrobe. I spent the carefree days of that Christmas holidays between needles, threads and colourful clothes. I was always together with my new friend. Although, over the years I gathered others dolls, she remained in the basket where I kept my toys, in her majestic, composed clean and composed colourful new clothes.

I carried her with me everywhere, in my arms or in a wooden baby carriage that my father built just for her. Maybe that was one of the few times I've ever played with a doll, and not just simply destroyed her body as I often did with the others. Even my brother’s remote controlled cars, were saved by the arrival of my special Black doll.
But despite the love I felt, I never gave her a name.
In truth I've never been good in choosing names. Naming things makes them known and therefore less mysterious, then it makes them yours forever, and I've always had a bit of problems with things that last forever. There is only a thing that will last forever, but at that time I did not know yet. But there was also another reason, all the possible names sounded so strange to me, as they all seems not suitable for her. I was only a child of seven years, I didn’t know yet the musicality of languages ​​of the world, their originality, imagination, nor did I know the nuances of the colours of the people around the world. What my reason as a child did not understand, or rather did not accept, was not referring to her colour, or the fact that I could not give her a name, but her aspect, how she look? Her hair and her dress: why were they so ugly? Because, I'll tell you my friends, they were really, incredibly ugly. The dress was almost a rag, it was checkered white and blue like those Italian taverns tablecloths, lost in a time that will never come back, poor in mind, even of the most remote futuristic desire.

Other dolls, I mean the "blondes one", they were always well-dressed, princess dresses, veils of tulle embroidered and pompous, long and blond hair, beautiful to comb, to wash, to style with soft bristle brushes. My doll instead, had short blacks hair, curly or to best say, frizzy, impossible to comb or style. They grew up on her head in a somewhat messy manner. And even if her face was beautiful, with a wide and large forehead, black large and sparkling eyes, her hair continued to be a beautiful disaster.

To the dress, as I said, my mother and I, remedied immediately. At that time, but not now, I considered myself a pretty good seamstress. Cut the cloth, measured, by my expert eye on the doll, it come out a dress, if not perfect, well, composed. Red, were her lips, that I even made more brilliant with my pens, sleeveless, because it was easier to sew, and very, very long. But she also needed underclothes, because my mom used to say that back and baby’s bottom are always to be covered for the good health. The panties were what I did best, shirts a bit less, but it is better to be poorly dressed and clean than dirty and barefooted. I realized several outfits for my doll, so that I could change her often, as the most beautiful of princesses.

But that hair... how incomplete things, that stand in front of you just to give you the torment, they remained my despair.
I was itching by the desire to style them. I found that hair bands suited her very well, so I sewed many bands of different colours, matched with her new clothes. But no, I was not satisfied: I wanted to comb them!
So I decided to try. Alas, her curly hair immediately turned into a frizzy wool, impossible to see. But above all, impossible to replace, I was worried, because I ruined her. So I improvised myself as an hairdresser. Me, a disaster with my hair, me, that never knew how to put together two strands, I made a horrible haircut that made her hair very short. Suddenly I lost the scissors control: my black princess was a princess with no more hair.
I owned a black doll, with fabulous clothes, but without the hankered beloved hair, forced to went out with a kerchief on his head.
My mother was always so fine, she found this kerchief very stylish. But I perfectly knew what it was hiding and I wasn’t happy to have given the vent to my hands. Nevertheless I didn’t left my doll on her own after having defaced her. I didn’t disjoint her of its valuable parts as I did with the others. Maybe she is still in some boxes around my parent’s house, as my mom has the mania to preserve everything. Sometimes, my brothers and I, see her pull out some archaeological childhood that we buried in corners of our memory made impassable by the time: my mother, I know, she own hideaways everywhere in the house!
The black doll is the only gift of that strange Befana that I can still remember today. This could give you the importance she had for the baby girl I was. And maybe, but without absolute certainty, her arrival in my life has led some of the choices made in the early years of my youth, I’m quite sure that after her the world has become less alien to me. But only Freud could say if there is a connection between her and what really happen in my future.

Today it is not the same. The Befana does not come during the last day of school, the mayor does give her any aide. It is no even longer a code somehow delivered. For several years she has been replaced by one of the many Santa's helpers who, like the original, was dressed in red and wearing a fluffy white beard.
This novelty caused considerable perplexity among children, get used to receive gifts from the real Santa, the only one that came with his beloved reindeer sleight during the night of the twenty-five of December, the same who become more careful. Maybe it started a memory treatment, because today he forget very few children, nay, I would say no one anymore. He must have bought an iPads, sure he holds an agenda well organized by goblins, with all the world's time zones. Not only that, he also receives letters, preferably e-mail, directly to the North Pole, thereby he can satisfy every request... well, you know, almost always, when he can’t, he try to get as close as possible to the children desire.
The question now was always one, and it was quite embarrassing: mom, dad, but what is the real one?
Help! I believe that in making the world easier for everyone, we made  our life harder than ever. And tales, my beloved tales in this world do not seem to find any space. Simple, sure is nice, simple is definitely better, simple is certainly nothing for us, modern parents.
The relationship with our children has become a continuous trudging on a road that runs too fast, and where we are for the first time. You try to keep for them a little of magic, but at what price? It seems that  anything is enough. Though there is so much around us!
At the end you find yourself to forbid this, ban that, remedy to the other, and in this whirl of contradictions we have no other chance than renegotiate the terms of the oldest barter: if you do, if you want, if you study, if you eat, if you sleep: you can have, you can do, you can go. I suppose that all our inconsistency does nothing but overwhelm them, make them weak and naive in face of this world that pretends to be simple and accessible, but that really is hard and ruthless.

But I got lost again, I warned you this would happen.
Back to Santa Claus, one day even this Santa’s helper stopped arriving.
Italy government communicated its citizens to be in a bad disruption. The mayor was forced to send an e-mail to the North Pole with whom he cancel all the orders from them to years to come. And with no little regret. Today's children it is well to be honest. They know quite well what the crisis is. That if Dad is at home, while Mom is at work, it is because the crisis has closed the factory of dad and mom had to step up her commitments to get right with the household income. This is why she is always tired and angry. But if they could understand crisis, they could not understand this statement, they are ever children at heart. And mom is always mom, the only person in the world that you could hate with the same intensity with which you love her, you know in your heart she is the only person you can’t do without.
The real problem, are we, the adults, we know all the things, we know about crisis, we know about the changing but we do not accept anything. We scream and we inveigh, we speak out of turn, claim, blame, attack, as only good adults could do.
But the question is: is this modern Santa Claus really better or it was better the one of yesterday, the one that when he could not, in my village sent in his place that strange Befana?
This is a question with no reply in my own. I like to remember that time fondly, but without joining the club of "those of Remembrance".

I’m not of those people who start talking only about the past experience. I like walking and I love having sun in my face, always forward, never backward. And then, Santa of nowadays is very nice and amazing. I definitely love him. I really like his big belly, full of cheerfulness.
What I really miss of the past is a little of the magic that was in the air, such as the evening before St. Nicholas arriving, or the Befana’s day at school. I also miss the days of only one gift, but be sure, at that time, I would never have said this.
I miss that strange Befana, who brought black dolls by ugly clothes and short curly hair. And yes, we wondered why, but at the end there was not matter, because we played the same, and we were not afraid of the different ones.
 So! In short, I realised in this self-contradictory story, that in the deepest of my soul I only miss the tale.
That wonderful time when, even a black doll, dressed in rags could wear a pretty dress and become a princess. Sure with a lot of imagination, and she could go round the world, looking for her charming prince, and maybe she realized he was black too, and rich and really beautiful.
And maybe, who knows, with lot and lots of luck, he would be the next president of the United States of America.
After all, I know, or I am quite sure, that fairy tales still exist, but they love to get confused with reality!


Merry Christmas to All